Sono
nato a Milano il 21 aprile 1942. La mia storia iniziò così, durante il secondo
conflitto mondiale. Il capoluogo lombardo, come altre città italiane, era sotto
il tiro dell’aviazione alleata e i bombardamenti sulla città erano all’ordine
del giorno. Nonostante la guerra, la vita proseguiva. Il fatto di essere venuto
al mondo in quell’anno, come tanti altri della mia generazione, lo dimostra.
Il
cognome che porto è straniero e il motivo è semplice. Sono figlio di madre
italiana e di padre tedesco. Purtroppo ho pochi ricordi di lui. Credo che però sia stato un uomo fuori dal comune per le scelte
che fece.
Aveva combattuto nell’Afrika Korps del feldmaresciallo Erwin
Rommel, soprannominato La volpe del deserto. Era sempre stato contrario a
Hitler e al nazionalsocialismo, benché le apparenze possano ingannare.
Addirittura, prima dello scoppio della guerra, aveva abbandonato la Germania
per l’Inghilterra, in nome di questa sua reale avversione personale al Führer.
Nonostante ciò, mio padre era anche un convinto nazionalista.
Amava il suo paese e mai si sarebbe sottratto ai suoi obblighi di cittadino
tedesco. Quando la Germania entrò in guerra, egli rientrò in patria senza
esitazioni e si offrì come volontario.
Questa sorta di sentimento volontaristico è una cosa che la nostra
famiglia ha nel sangue. La mia storia personale lo dimostra, ma non per questo
me ne faccio un vanto. Lo considero un dato di fatto, niente di più.
Brano tratto da "Un parà in Congo e Yemen 1965 1969"di Robert Muller e Ippolito Edmondo Ferrario, Mursia editore
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