giovedì 27 ottobre 2016

Un parà in Congo e Yemen 1965 1969

Il massacro della Sucraf


Congo. I cadaveri dei civili massacrati alla Sucraf pronti per essere portati alla fossa comune


Tutti e tre ci ritrovammo di colpo svegli. Aprii la botola che portava sul tetto della nostra abitazione e salii con la mitragliatrice. Mi passarono delle cassette di munizioni. Nony cominciò a sparare dalla finestra assieme all’altro ragazzo. Dalla terrazza della casa godevo di un’ottima visuale. Vidi una moltitudine di uomini, mai visti così tanti insieme. I ribelli uscivano dalla vegetazione urlando: «Mulele mai! Mulele mai!» (Le pallottole diventeranno acqua), era la credenza che infondevano gli stregoni nei ribelli che andavano all’assalto.
Una massa disperata di uomini corse verso noi. Solo pochi erano armati con armi da fuoco, la maggioranza brandiva lance e machete. Si gettavano in avanti e si avvicinavano incuranti della tempesta di fuoco che li stava raggiungendo. Iniziai a sparare con la mitragliatrice. Raffiche, raffiche, ancora raffiche. Cadevano come mosche. Alcuni, feriti di striscio, si rialzavano; altri morivano, ma venivano sostituiti da quelli che sopraggiungevano. Ancora raffiche. Ormai tutti sparavano verso i ribelli, sicuramente drogati. Volevano la Sucraf e quelli che erano dentro. Se ci avessero preso, ci avrebbero letteralmente fatti a pezzi. Era già successo. Meglio ammazzarsi che finire nelle loro mani. La tortura era garantita.
Qualcuno mi aveva detto, non so se fosse vero, che alcuni ribelli avevano anche l’abitudine di bere etere, per rallentare il battiti del cuore e di conseguenza l’uscita del sangue dalle ferite.
Fu una strage. A un certo punto i superstiti si fermarono di colpo. Alcuni vennero avanti con le mani alzate in segno di resa. I volontari li disarmarono e li radunarono in uno dei magazzini della Sucraf usati per il deposito di materiale vario.
Nel frattempo, attorno allo stabilimento, erano convenuti dei neri, che non volevano partecipare alla lotta armata dei ribelli. Tempo prima infatti avevano costruito un piccolo villaggio che comprendeva una cinquantina di capanne.

Cominciammo un rastrellamento, per vedere se ci fosse qualche ribelle nascosto. Gli abitanti erano quasi tutti morti. Donne, uomini, vecchi, bambini, erano stati uccisi dai Simba prima che attaccassero la Sucraf. Entrai in una capanna, FAL spianato pronto a sparare. Vidi il corpo di un bambino con la testa aperta in due da un colpo di machete. Il cervello colava per terra e una gallina lo stava beccando. Uscii e vomitai quello che non avevo ancora mangiato. Evitai di consumare carne di pollo per lungo tempo.

Brano tratto da "Un parà in Congo e Yemen" di Robert Muller e Ippolito Edmondo Ferrario, Mursia editore

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